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La Famiglia Aulenta ad Acquaviva delle Fonti.
di Giacomo Arcidiaco
www.giaarcix.it

NOTAIO MARTIRE FILIPPO AULENTA

(Acquaviva delle Fonti, 18 gennaio 1737 - Ceglie del Campo, 6 febbraio 1799)


Filippo Aulenta, figlio di Francesco e di Serafina Ruscigno, nacque ad Acquaviva delle Fonti nel 1737.
Anche per chi, come gli Aulenta, apparteneva ad una famiglia nobile e facoltosa,Filippo Aulenta la situazione in quegli anni non era delle migliori: a quel tempo Acquaviva era infatti da più di cento anni un feudo della famiglia De Mari, ricordata ancora oggi per aver portato all'interno delle sue mura l'abuso, la prepotenza e la discordia civile.
Oltre alle violenze e alle sopraffazioni dei De Mari, anche alcune carestie, causate da lunghe siccità, avevano afflitto la popolazione negli anni 1716, 1724 e 1755, e, come se non bastasse, nella prima metà del Settecento un terribile terremoto aveva costretto i cittadini a fuggire dal paese.
Nel secolo precedente alla nascita di Filippo, i suoi antenati e gli altri acquavivesi, già stremati dal passaggio di eserciti stranieri e dall'avidità degli antichi feudatari e del fisco, erano riusciti a sfuggire solo alla peste che, in particolare negli anni 1659 e 1691, aveva devastato la Terra di Bari, gettando lo sterminio tra la popolazione.
Il più crudele e facinoroso dei de Mari visse proprio nella seconda metà del Settecento, al tempo quindi del nostro Filippo Aulenta, che svolse la professione di notaio in Acquaviva delle Fonti dal 1764 al 1798: si trattava di Carlo III de Mari, principe di Assigliano.
A quel tempo il Re Ferdinando IV si dimostrava d'altra parte un sovrano illuminato, e la dottrina innovatrice e progressiva sembrava per il momento reggere le sorti del regno.
Ad interrompere questa intesa tra le correnti più vive ed il Re, e a rigettare il sovrano nelle braccia della nobiltà e del clero, intervenne però la Rivoluzione Francese giunta ad una svolta con l'abolizione della monarchia e la proclamazione della repubblica. La regina Maria Carolina presa dal terrore della Rivoluzione insistette infatti perché venissero adottati provvedimenti repressivi che allontanarono da loro le simpatie del ceto colto, sempre più attratto dai principi di libertà proclamati in Francia.
Non stupisce quindi che tra il popolo, in mezzo quale non mancavano uomini onesti e decisi a combattere la tirannia dei De Mari e dei Borboni, cominciasse a nascere un vivo fermento.
Ad Acquaviva fiorì così nel 1792 un cenacolo di uomini illustri, tra i quali vi fu anche il nostro notaio Filippo Aulenta: con lui vi erano Francesco Supriani, Francesco Antonio Pepe, Giambattista Molignani, Vito Paolo Rubini, Giulio Iacobellis, Giangiacomo Pepe, Giovanni Scassi, i fratelli Tommaso, Giovanni e Nicola Serini, Caterina Forte, Gaspare Curzio, l'arciprete Valerio Giustiniani Persio e parecchi altri vicini al pensiero liberale.
Dovettero passare solo pochi anni perché, nel 1799, le loro idee rivoluzionarie trovassero compimento con la cacciata dei Borboni dal Regno di Napoli e con l'istituzione della Repubblica Partenopea. Proprio in quell'anno, Filippo Aulenta rimase però vittima con altri illustri compagni di un agguato teso, forse, proprio dal principe Carlo III De Mari.

Su Filippo Aulenta troviamo delle note biografiche in molti libri di storia acquavivese. Si trova per esempio:

"FILIPPO AULENTA: fu uomo probo, insigne giurista del notariato, che prediligeva professionalmente; ebbe sempre il modo di dimostrare il suo grande attaccamento al popolo indigente e oppresso dalla miseria; fu egregio ed entusiasta patriota e forte sostenitore della forza repubblicana, che tutti anelavano in quei tempi oscuri.
Uomo di fede e d'azione, ebbe spirito aperto ai più nobili ideali e fu amico intimo di Francesco Supriani, dei fratelli Pepe, del presule Valerio G. Persio, di Francesco Paolo Abrusci, di Giovanni Scassi e di molti altri insigni patrioti, che, in quel tempo, onoravano Acquaviva delle Fonti.
Assieme ad altri repubblicani, piantò, nella piazza di Acquaviva, l'albero della libertà quando nel 1799 la sua città dette la sua adesione alla Repubblica Partenopea. «Libertà» fu il motto impresso sul suo scudo, nei continui e pericolosi combattimenti politici contro il servaggio feudale.
Fu cospiratore e patriota entusiasta, purtroppo vittima, insieme ai fratelli Pepe, Giovanni Scassi, ed altri, nel famigerato eccidio avvenuto in Ceglie del Campo, vicino a Bari.
Fu massacrato il giorno 6 febbraio 1799 assieme a F. A. Pepe, a G. Pepe, a G. Scassi nei pressi di Ceglie del Campo, vicino a Bari, mentre alla domanda fatta dai Sanfedisti: «Chi vive?» rispondeva coraggiosamente: «Viva la libertà!»."


Un'altra fonte riporta quanto segue a proposito degli avvenimenti del 5 e del 6 febbraio 1799:

"Dopo i discorsi, fra l'entusiasmo della folla e il canto d'inni patriottici, fu piantato il simbolico albero a perenne memoria dell'abolito servaggio.
L'albero della libertà consisteva in un albero naturale; per lo più di quercia o pioppo che si svelleva, possibilmente con tutte le radici, e si piantava in apposita buca nella piazza principale del paese. Esso dinotava il potere popolare, la supremazia riunita del popolo. Veniva adornato di fiori, di nastri tricolori, ed era sormontato da un berretto rosso. Alcune volte vi si aggiungeva anche una bandiera tricolore.
I festeggiamenti in Acquaviva delle Fonti continuarono la sera in casa dei signori Festa, ove convenne la parte più eletta del paese per fare onore al cittadino Pepe, che il dimani doveva partire alla volta di Napoli, e altri che avevan risoluto di accompagnarlo. La mattina del 6 febbraio infatti Francesco Pepe, seguito dal fratello Giangiacomo, valoroso letterato e filosofo, dall'avvocato Giovanni Scassi, dal sacerdote Don Francesco Cirielli e del notaio Filippo Aulenta, e scortato dal sedici guardie mosse da Acquaviva. In quello stesso giorno, fosse caso, o tradimento di alcuni prezzolati Acquavivesi, o, come sembra più verosimile, un'insidia ordita dagli armigeri del Principe De Mari, erasi radunata nei pressi di Ceglie e Carbonara una moltitudine vandeana, allo scopo di muovere una guerra di sterminio contro le città fedeli alla Repubblica.
Orbene mentre taluni dei capi, soprannominati "muso di lepre" e "uccidagalline" arringavano la gente colà raccolta, e in nome della monarchia e della fede la spronavano al saccheggio, si sparse d'un tratto la voce che una brigata di giacobini proveniente da Acquaviva si avanzava per la via di Loseto. A tale notizia l'ira di quelle orde già esaltate divampò con maggior veemenza; si armarono di archibugi, spiedi e bastoni, e correndo verso Ceglie occuparono il passo S. Angelo e ivi aspettarono in agguato la preda.
I miseri cittadini acquavivesi, giunti a quel luogo, si videro circondati da una folla minacciosa; ma non si turbarono punto e alla domanda «Chi vive? risposero impavidi «Viva la libertà, viva la Repubblica Francese e Napolitana!».
Queste parole furono il segnale dell'eccidio: i fratelli Pepe, Giovanni Scassi, Filippo Aulenta e tre uomini della scorta vennero trucidati; pochi si salvarono con la fuga e potettero ritornare ad Acquaviva, nunzi della funesta novella. Il Cirielli ebbe salva la vita, rilevando la sua qualità di sacerdote e recitando la messa in presenza di quelle fanatiche turbe! La voce della tradizione reca che gli armigeri del feudatario acquavivese nascosero le mani che avevano offerto i pugnali omicidi".


In ricordo dei martiri del 1799, nell'interno della Cattedrale di Acquaviva delle Fonti, nel 1864, fu murata una lapide marmorea, spostata nel 1956 all'interno del Palazzo di Città, che reca la seguente epigrafe:

AD ONORE E MEMORIA
DI FRANCESCO SUPRIANI DOTTO INTEGRO
CITTADINO FRANCESCO ANTONIO PEPE
GIURISPRUDENTE CHIARISSIMO
GIANGIACOMO PEPE EGREGIO LETTERATO E FOLOSOFO
VALERIO GIUSTINIANO PERSIO
PRESULE ACQUAVIVESE AMATISSIMO
MORTI PER CAUSE DI LIBERTA' L'ANNO MDCCIC
LA PATRIA RICONOSCENTE
DOPO XIII LUSTRI DELL'ITALIA REDENTA
QUESTO MARMO CONSACRA
__________
CITTADINI TRAMANDATE AI FIGLI CHE L'AMOR DI PATRIA
TUTTE LE ALTRE VIRTU' SOVRASTA
MDCCCLXIV



A proposito di questa lapide, ci fu chi si indignò che non fossero stati ricordati nomi quali quelli di Filippo Aulenta, e degli altri uomini che morirono insieme a lui la mattina del 6 febbraio 1799:

"Purtroppo i dirigenti dello scorso secolo non ricordarono Filippo Aulenta nel marmo dedicato a Supriani, Pepe, e Persio! Perché? Onore al merito! Su qual marmo si devono incidere i nomi sacri di Aulenta, Scassi e di tre ignoti uomini che facevano parte della scorta armata, per la protezione della Mente destinata alla Repubblica Partenopea. Segnalo questa mancanza perché sia fatta luce sui nomi anzi detti, che caddero per la causa comune. FILIPPO AULENTA, GIOVANNI SCASSI, e voi, TRE UOMINI SCONOSCIUTI che deste la vita per la libertà, entrate nella mente di chi non vi conosce, e insegnate ai posteri cosa significa il sacrificio e l'amor di Patria!"


Il fatto di sangue del 6 febbraio 1799 fu riportato anche su due numeri del "Monitore Napoletano", un giornale bisettimanale della Repubblica Napoletana, ma di nessun'altro, oltre che di Francesco Pepe, si fa menzione.


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