Pagina precedente
La Famiglia Aulenta ad Acquaviva delle Fonti.
di Giacomo Arcidiaco
www.giaarcix.it

FRANCESCO PAOLO AULENTA
Patriota E Comandante Della Milizia Nazionale

(Acquaviva delle Fonti, 11 marzo 1777 - ivi, 23 luglio 1830)


Via AulentaA proposito di Francesco Aulenta, al quale è anche intitolata una via nella città di Acquaviva delle Fonti, troviamo questi dati nel volume "Pagine Sparse e Brevi profili di uomini illustri Acquavivesi":


Francesco Aulenta nacque in Acquaviva delle Fonti il dì 11 marzo 1777, e fu figliuolo di Leonardo e di Anna Maria Cifarelli.
Francesco Paolo Aulenta Fu nipote del martire notaio Filippo Aulenta, barbaramente trucidato dai Sanfedisti al passo S. Angelo, presso Ceglie del Campo, assieme ai fratelli Pepe e all'avvocato Giovanni Scassi.
Francesco Aulenta, compiuti gli studi a cui la famiglia, cospicua per censo, lo aveva avviato, si trasferì in Napoli ove frequentò brillantemente gli studi di medicina presso quell'antica Università, in cui, maestri di chiara fama, spargevano i tesori del loro grande sapere.
Ma quei grandi non si limitavano ad insegnare ai propri discepoli la sola conoscenza della dottrina medica, ma ancora (e vada detto a loro perenne lode), inculcavano negli animi dei giovani l'amore della libertà, la bellezza del progresso sociale, l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e la più viva avversione alla tirannia e all'oscurantismo. L'istituzione della Repubblica Partenopea , lo trovò in Napoli tra quella schiera di giovani intellettuali che si era distinta nel coadiuvare l'opera dei più insigni patrioti del 1799.
E' in questa occasione che si rivela l'animo caldo d'amor patrio di Francesco Aulenta. Egli é con la Repubblica sia nella buona che nell'avversa fortuna.
Quando la Repubblica Partenopea viene assalita dalle orde sanfediste del Cardinal Ruffo, Francesco Aulenta sa qual'é il suo dovere.
Si batte valorosamente prima al ponte della Maddalena, e, immediatamente dopo, dalle finestre dell'Ospedale degli Incurabili. E' un orrendo flusso di armi e di armati.
Le fucilate sono fitte come grandine; la difesa é disperata, ma il piccolo manipolo di cui fa parte, resiste ostinatamente fin quando, travolto dalle soverchianti forze nemiche, viene annientato.


Ne "La Puglia nel Risorgimento - Volume II, La rivoluzione del 1799" di Antonio Lucarelli si trova una cronaca della battaglia avvenuta a Napoli il 13 giugno del 1799 sul Ponte della Maddalena, nella quale è citato anche Francesco Aulenta, appartenente alla "truppa repubblicana":

L'azione del Ponte della Maddalena fu da ambo le parti ostinata e vigorosa... la truppa Cristiana in mezzo ad una tempesta di fuoco, che cadeva sopra il suo capo, ardimentosa si appressa al Ponte della Maddalena, guardato e difeso da ogni parte dalla truppa repubblicana, tenta più volte di farsi padrona di un posto sì vantaggioso e malagevole a superarsi; ma vien trattenuta e respinta con egual coraggio dal nemico, che faceva cadere a nembi il fuoco della sua artiglieria per mare e per terra. Il maggior danno però e il maggior spavento nella nostra truppa venivano cagionati dal vivo fuoco dei Lancioni comandati da Caracciolo. Questi, guardando l'imboccatura del ponte, facevano cadervi sì spesso le bombe e le grosse granate che rendevano insuperabile quell'entrata senza un'incalcolabile perdita di gente, che veniva anche maltrattata di fronte dalle batterie nemiche.
La truppa del Cardinale [...] mostravasi ormai stanca ed avvilita dall'ostinata resistenza dei repubblicani, e già il Ruffo inclinava alla sospensione delle ostilità, quando l'azione della grossa artiglieria, bravamente maneggiata dai moscoviti, che serravano le genti collettizie per tema della fuga e non erano ancora usciti dal campo, fece sì che l'incerta battaglia, all'imbrunire, volgesse a favore dei sanfedisti. Ma l'ultimo crollo venne ai giacobini da un risoluto e formidabile attacco della cavalleria paesana di Puglia.
Si ascolti la viva e paurosa descrizione del patriota Rodinò nei "Racconti Storici": "Era già da qualche istante tramontato il sole, quando, o spaventevole vista, e che al rimembrarla tutto ne risento l'orrore, scorsi prorompere dalla strada di Portici quella feroce cavalleria, che nera per gli abiti e per le ombre della sera, metteva maggior paura al vederla.
Fra urli minacciosi ed alte grida tutto inonda il Ponte della Maddalena... Io non so ridire cosa di tutti i miei compagni addivenisse. Moltissimi perirono...".
Si spense qui, a fianco del barone Giuseppe Poerio, il giovine pittore e poeta Pietro Paladini di Terra d'Otranto; caddero, più o meno gravemente feriti, Del Giudice, Agazzi, Aulenta, Benchi, Sardelli e Sebastiano Liberatori di Molfetta, congiunto di Emanuele de Deo; e battendosi insieme con gli adolescenti, a cui sorrideva la vita e l'avvenire, soggiacquero nel tenebroso furore della mischia uomini attempati ed illustri, come Serio e Cestari, professori nell'Ateneo napoletano.
Tante perdite non distoglievan tuttavia i patrioti dal combattimento, che si protrasse, "ostinato", "furiosissimo", fino ad un'ora, ed anche più, dopo il tramonto: essi cedevano il terreno palmo a palmo; e cessarono dalla pugna solo qundo Wirtz, ferito al petto o al fianco da un colpo di mitraglia, cadde riverso e moribondo nelle braccia di Giordano de Bianchi, il quale nell'altro poté fare, se nopn sottrarre il corpo di quel valoroso, con l'aiuto dei supersititi, "alle unghie de' cannibali".


Che cosa successe dunque a Francesco nell'estate del 1799, dopo la disfatta della Repubblica Partenopea? Ritornando al libro "Pagine Sparse e Brevi profili di uomini illustri Acquavivesi", troviamo:

Francesco Aulenta, romanzescamente, riesce a sfuggire alla cattura e ripara all'estero, ove trova aiuto ed asilo presso nostri benemeriti compatrioti. Sottoposto a giudizio penale presso la Giunta di Stato, viene condannato in contumacia alla deportazione perpetua in Francia.
Ma l'esilio é penoso e dolente; la nostalgia della Patria lontana é forte. Nonostante la gravissima condanna, Francesco Aulenta decide di tornare in Patria. Ma come? Si arruola nell'esercito francese, e l'anno successivo al suo bando ritorna in Italia con le truppe napoleoniche, attraverso il Piccolo San Bernardo. Si batte valorosamente a Marengo, e dai superiori riceve lodi ed incoraggiamenti.


All'Archivio di Stato di Palermo si ritrovano le pagine del registro in cui, il 20 novembre 1799, furono trascritte le sentenze della Giunta di Stato. La motivazione della pena contro Francesco Aulenta, Francesco Petrillo, Gaetano Guardati ed Andrea Picardi è la seguente:

"Perché ascritti tutti e quattro alla Sala Popolare, per aver servito La Civica, per esser stati alla Spedizione di Castellamare contro gl'Inglesi, sono stati condannati all'esportazione per vent'anni fuori i dominj di V. M. [Vostra Maestà]"


Nel "Diario Napoletano 1798-1825 - Volume I" di Carlo De Nicola (Bari, 1906), si legge inoltre a proposito di questa condanna:

Mercoledì 20 novembre 1799: i condannati ieri e la notte scorsa dalla Giunta di Stato, giacché non si sciolse prima delle solite ore sei d'Italia, sono i seguenti. D. Antonio Ruggi, decapitato; Melchiorre Ferri, forca; esportazione a vita: Gabriele Tramontano, Antonio Mastracchio, Giuseppe De Cesare, Andrea Cestari, Giuseppe Sguecco; asportati per anni venti: Gaetano Guardati, Francesco Petrilli, Giorgio Bussi, Francesco Aulenta, Domenico Antonio Topputi, Leonardo Matrobuono, Francesco Calabrò, Melchiorre Sella, Angelo Maria Morlati, Tommaso Basilari, Giovanni D'Aiello, Michele Darlisanni, Pompeo Montella; per anni quindici: Liborio Basile.


Altri dati sulla giovinezza di Francesco Aulenta, fino al suo avventuroso ritorno in Italia con Napoleone nel 1800, si trovano nel già citato "I Martiri ed i Perseguitati Politici di terra di Bari nel 1799".

Superstite alla strage del padre Leonardo e dello zio notar Filippo, rimase il figlio del primo, Francesco Paolo Aulenta. Costui trovavasi in Napoli a studiare leggi, allora che il generale Campionet, fuggita in Sicilia la corte Borbonica, fondò ivi la Repubblica Partenopea.
Innamorato dei novelli principi di libertà e di progresso, discepolo di Pagano e di Conforti, iscritto nella setta del Franchi Muratori, e rimasto a Napoli durante la breve esistenza della Repubblica Napoletana, il giovane Francesco Aulenta, sotto gli ordini del Marchese di Montrone, Giordano de Bianchi Dottula, si batté da prode al Ponte della Maddalena, allora che le orde dei Sanfedisti e dei Lazzari, guidate dal famigerato Cardinale Ruffo, penetrarono a viva forza in Napoli per abbattervi i novelli ordinamenti.
Avvenuta le capitolazione e ripristinato l'antico regime, l'Aulenta fu arrestato e si vide in grave pericolo: ma per uno strano equivoco andò confuso tra coloro che non dovevano essere banditi dalla patria. Egli, quasi suo malgrado e per le grandi istanze dei medesimi compagni di sventura, profittò dell'equivoco e fu salvo: ma menò vita infelicissima.
A pag. 23 delle "Filiazioni dei rei di stato" si hanno i seguenti dati intorno alla persona fisica nel momento in cui fu esule:

"Francesco Aulenta, o sia Auletta, d'Acquaviva in provincia di Bari. Figlio delli quondam. Leonardo, ed Anna Maria Cifarelli. Di anni 23, capelli castagni, occhi cervini, barba piena, naso ben lungo, faccia tonda, con segno, con cicatrice nell'occhio destro, statura 5 piedi, due pulgate ed una linea, con tutte le scarpe".


Dopo essere stato per qualche tempo in Marsiglia, fermò la sua dimora in Parigi, ove rimase fino a quando, formatasi la Legione Italica, comandata dal generale Giuseppe Lechi, si offrì volontario in compagnia del celebre patriota Lomonaco nella spedizione per Milano, ove, disfatti a tradimento e non potendo più rimpatriare, si arruolò come volontario nell'Armata Francese, passò con l'esercito francese capitanato dal console Napoleone, il San Bernardo, e prese parte poi alla celebre battaglia di Marengo.
Partecipò egli valorosamente a parecchi fatti d'arme in Italia ed in Spagna. Dopo tre anni di onorato servizio nella milizia francese, il giovane Aulenta, cui da tempo mancava ogni qualsiasi notizia della sua sventuratissima famiglia, preso da nostalgia, chiese ed ottenne infatti tre mesi di permesso.
Se non che, arrivato a Trani, malgrado fosse provvisto di salvacondotto francese, venne quivi per parecchi mesi trattenuto in prigione con l'accusa di Giacobinismo.
Prosciolto dalla cennata accusa per diretta intromissione del ministro di Francia in Napoli, il giovane Aulenta rivide alfine la sua terra natale ed i suoi cari domestici, ma in quale stato! Massacrati il padre e lo zio, saccheggiata la casa, della sua famiglia non erano rimaste superstiti che due sorelle giovinette sostenute ed alimentate dalla pietà dei parenti.

Con la morte del padre Leonardo e dello zio Filippo, nel 1799, la famiglia del mio avo Francesco Aulenta si era in effetti ridotta a lui e a due sorelle minori, Serafina (1780-1866) e Celestina.
Così continua in "Pagine Sparse e Brevi profili di uomini illustri Acquavivesi" la nostra storia:

Dopo la pace di Firenze del 1801, ritornato ad Acquaviva, Francesco Aulenta viene onorato dei più alti uffici, come quello di sindaco e di comandante della milizia nazionale.
In quest'ultima qualità, spiegò un'opera meravigliosa piena di intelligenza e di energia quando, con impavido coraggio, concorse nel perseguitare i malandrini che di ogni genere che infestavano le campagne acquavivesi e quelle dei Comuni limitrofi.


E' in questo momento, alla fine degli anni '10 dell'Ottocento, che nacque ad Acquaviva delle Fonti la setta carbonara de "I proseliti di Catone". Tra gli antichi carbonari che costituivano questa setta vi erano i superstiti della rivoluzione del 1799 insieme ai figli e a molti dei parenti dei patrioti che avevano perso la vita durante la battaglia di Acquaviva delle Fonti e al passo di S. Angelo.
Alcuni di essi rappresentavano quindi, in un certo senso, gli eredi dei martiri del 1799. Gli iscritti erano novanta, di cui 53 col grado di apprendista ed il rimanente con quello di Maestro: tra di essi vi erano erano l'avvocato Giulio Iacobellis, il canonico Francesco Cirielli, fra Gian Carlo Barbieri, Girolamo Supriani, Giovanni e Nicola Serini, il dottor Vito Marino Cirielli, l'avvocato Giovanni Pepe, il dottor Michele Parlante, Gran Maestro della Massoneria e ancora valenti professionisti, farmacisti, notai, musicisti, funzionari comunali, artigiani, sarti, muratori, calzolai, falegnami e anche sacerdoti e frati possidenti come Pietro Ardilla e i baroni Francesco e Giuseppe Molignani. Secondo la tradizione le riunioni, segrete, si svolgevano solitamente nei sotterranei del convento di Santa Maria Maggiore.
La Carboneria si diffuse, dunque, nelle classi sociali più elevate, mentre del tutto assente fu la moltitudine proletaria delle campagne, sempre ignorante e misera, cosicché il moto costituzionale del 1820-21 si presentò, fin dai primi esordi, con carattere prettamente borghese.
Tra i carbonari vi era naturalmente anche il nostro patriota Francesco Aulenta, che, appena tornato in città nei primi anni dell'Ottocento dal suo lungo viaggiare per la Francia e l'Italia, prima da esule e poi con l'esercito di Napoleone, si era dovuto dar da fare per risistemare gli interessi della propria famiglia:

Senza perdersi d'animo, Francesco Aulenta si pose con mano alacre a sistemare e riparare gli interessi familiari; collocò convenientemente le sorelle l'una Celestina in Monastero e l'altra Serafina in matrimonio col putignanese Michele Ricciardi, e poscia diede a se stesso uno stato, prendendo in moglie Maria Giuseppa Panizza. Non é da credere però, che i doveri di famiglia avessero assopito in Francesco Aulenta quelli di buon patriota. Ricacciati di bel nuovo in Sicilia i Borboni e subentrata in Napoli la dominazione Francese, dapprima con Giuseppe Bonaparte, e poi con Gioacchino Murat, le maggiori cariche ed i più alti onori civici toccarono a Francesco Aulenta.
Capitano della milizia cittadina e Sindaco del Comune di Acquaviva, con indomito coraggio e mettendo più volte a repentaglio la sua vita e le sue sostanze, in compagnia del fido amico Giuseppe Curzio, liberò le campagne Acquavivesi dai numerosi masnadieri che le infestavano, provvide innanzi alla commissione feudale, alla difesa dei diritti dei cittadini sull'antico Demanio, ed introdusse nei pubblici servizi tutte quelle riforme che giustamente erano reclamate dai tempi progrediti.
Con decreto del 15 gennaio 1808 fu nominato membro del Consiglio del Distretto di Altamura.
In seguito, con un altro decreto del 4 settembre 1817, fu nominato consigliere del Distretto di Bari, e poco dopo fu eletto consigliere della Provincia, carica ch'egli tenne per parecchi anni.
Prima del 1820, installatosi in Acquaviva, sotto la presidenza del colonnello medico Michele Parlante, una vendita di Carbonari, egli Francesco Aulenta ne fu uno degli affiliati più fervorosi, coprendovi il titolo di primo assistente, quanto dire di Vice Presidente.
Più tardi, e cioè nei primi anni del regno di Francesco I, non curando punto la vita, si adoperò con tutte le forza alla salvezza della Patria, in mezzo ai Filadelfi, setta liberale dei Filadelfi, alla dipendenza del principe di Cassano, Giuseppe Riaria d'Aragona.
Gli ascritti alla cennata associazione secondo quello che ci fa conoscere l'illustre Mariano d'Ayala, erano cittadini raccolti in segrete adunanze con lo scopo di amare e creare la città libera, siccome denota la medesima parola.
Infine nell'età ancora vigorosa di 53 anni, venne l'Aulenta rapito alla buona causa della libertà, all'affetto ed alla venerazione dei suoi concittadini nel dì 23 luglio 1830.


Così termina in "Pagine Sparse e Brevi profili di uomini illustri Acquavivesi" la nostra storia:

Mantenne fino alla morte sempre alto il sentimento di amor patrio. Fu iscritto alla Vendita Carbonara "I Proseliti di Catone" con il grado di Maestro. Patria e libertà furono i distintivi della sua bandiera! Menò vita onorata ed esemplare. Ai figli fu maestro di etiche virtù; ai cittadini, di vita onesta e pura.


Al cimitero di Acquaviva delle Fonti esiste ancora una tomba, risalente al XIX secolo, alla memoria di un certo soldato Francesco Aulenta e di una sua figlia di nome Giulia.
Una nota: due delle figlie di Francesco e Maria Giuseppa Panizza, Anna Maria Aulenta (1809-1890) e Maria Luigia Aulenta (1815-1875), presero i voti. La prima si chiamò Suor Clarissa e la seconda divenne monaca. Entrambe nacquero e morirono ad Acquaviva delle Fonti.


Pagina precedente www.cassarmonica.it Indice Aulenta Torna all'inizio della pagina