Cronistoria della Città.
di Martino Mastrorocco
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Dall'anno 1.500 all'anno 1.800


1501-1503 Con il trattato segreto di Grenada (1500), avallato, in seguito, anche dal papa , Alessandro VI Luigi XII si accorda col re spagnolo Ferdinando il Cattolico d'Aragona per spodestare da Napoli il ramo cadetto degli aragonesi (Federico d'Aragona) e dividersi il Regno. Abbandonato da tutti, a cominciare dai suoi sudditi, re Federico si arrende e accetta, in cambio della sua rinuncia, il ducato d'Angiò, in Francia. Scomparso lui, francesi e spagnoli si trovano di fronte; e malgrado i patti, vengono alle armi. Nell'ambito di tale conflitto si svolge a Barletta la famosa disfida tra 13 cavalieri francesi e altrettanti italiani capeggiati da Ettore Fieramosca. Questi si battono e vincono per vendicare l'offesa di un francese che ha definito codardi gli italiani.
Intanto Andrea Matteo Acquaviva d'Aragona, duca d'Atri, conte di Conversano e signore di Aquaviva, si schiera dalla parte degli angioini ma, sconfitto dalle truppe del capitano spagnolo Pedro Navarro, perde le sue terre e viene rinchiuso in Castel Nuovo. Aquaviva viene concessa al generale Prospero Colonna.
La città conta 651 famiglie, esclusi mendicanti e vagabondi, monaci, vedove e orfani.

1505 La Spagna esce vittoriosa dallo scontro e con la pace di Blois rimane esclusiva padrona del Mezzogiorno e tale resterà per oltre due secoli governandolo attraverso un vicerè e favorendone l'isolamento dal resto della penisola.
Aquaviva, nonostante il tradimento perpetrato ritorna proprietà di Andrea Matteo, liberato senza il pagamento di alcun riscatto.

1511 Andrea Matteo assegna Aquaviva, Cassano, Casamassima e Gioia al figlio Giovanni Antonio Donato Acquaviva d'Aragona, con il titolo di conte.

1516 Alla morte del nonno materno Ferdinando il Cattolico, Carlo d'Asburgo (il futuro imperatore Carlo V) eredita tutti i domini della monarchia spagnola, comprese le dipendenze americane e italiane (Sardegna, Sicilia e Napoli). Con la pace di Noyon viene confermata la spartizione della penisola in due zone di influenza: il nord francese e il sud spagnolo.

1519 Alla morte dell'imperatore Massimiliano I, Carlo d'Asburgo eredita i domini austriaci e avanza la propria candidatura all'elezione imperiale. Gli si contrappone il re di Francia Francesco I il quale, sconfitto, provoca un lungo conflitto tra impero asburgico e Francia che ha come epicentro il Milanese, invaso ripetutamente dall'esercito spagnolo.

1525 A totali spese di Giovanni Antonio Donato si inizia la costruzione del convento dei Francescani (S. Maria Maggiore).

1526-1528 Giovanni Antonio Donato, ottimo soldato e provetto poeta, viene onorato di molte cariche dall'imperatore Carlo V e dimostra il proprio coraggio nelle battaglie contro i veneziani, alleati dei francesi, i Turchi, che da decenni insidiano con continue razzie le coste pugliesi a caccia di schiavi e le armate angioine del maresciallo Lautrec penetrate nel regno di Napoli. Al suo fianco combatte il cittadino acquavivese Angelo Calvo che come ricompensa dei suoi servigi ottiene da Carlo V la dignità equestre ed il privilegio di porre nello stemma di famiglia l'aquila imperiale.

1529 Per il decesso di Andrea Matteo e per la ribellione del nipote Giulio Antonio II, unico erede della contea di Conversano e del ducato d'Atri rimane Giovanni Antonio Donato, conte di Aquaviva, che però deve sopportare delle dispute vivacissime col fisco prima di entrarne in possesso. Il fisco infatti allegando la rinunzia dei diritti di primogenitura da lui precedentemente fatta a suo padre e adducendo la fellonia di Giulio Antonio ha revocato nelle proprie mani tutti i feudi appartenti agli Acquaviva. La questione si risolve solo grazie ai meriti politici e militari di Giovanni Antonio Donato
Intanto cedendo alle esortazioni del popolo e dell'arciprete Cesare Lambertini, l'Università decide di ricostruire, fin dalle fondamenta e di ampiezza sufficiente ai bisogni dell'accresciuta popolazione, la piccola e buia chiesa di S. Eustachio che minaccia di rovinare. La prima pietra viene posta il 3 ottobre ed una lapide infissa nel timpano della facciata ricorda l'avvenimento.

1546 In 40 anni il numero delle famiglie acquavivesi è aumentato del 27% passando dal 651 a 827.
Viene fondato l'ospedale "dei Pellegrini".

1554 Giovan Geronimo Acquaviva d'Aragona diventa, alla morte del padre, duca d'Atri, conte di Conversano e di Acquaviva.

1555 L'imperatore Carlo V conferisce a Giovan Geronimo il titolo di marchese di Acquaviva per l'alta reputazione raggiunta nella conoscenza delle discipline letterarie e filosofiche nonché per le imprese belliche compiute nel suo esercito contro turchi e francesi.

1559 La pace di Cateau-Cambrésis segna la definitiva conclusione del conflitto franco-spagnolo e conferma il controllo spagnolo sugli Stati italiani, cioè lo Stato di Milano, lo Stato toscano dei Presidi e i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna. Il regno di Filippo II e dei suoi successori, si caratterizza dall'eccessiva centralizzazione mediante un forte apparato burocratico. Nel regno di Napoli, governato da un vicerè spagnolo e di nomina regia, il governo riesce a conquistarsi il favore della nobiltà, tradizionalmente ostile al centralismo monarchico, assicurandole la continuità degli antichi privilegi feudali sulle masse contadine.

1561 Ad Acquaviva si contano 1022 famiglie.

1575 Alberto Acquaviva d'Aragona riceve dal padre il ducato d'Atri ed il dominio di Acquaviva con il titolo di marchese. Sotto la sua signoria gli acquavivesi godono di privilegi amministrativi, esenzioni da tasse e da pedaggi.

1593 Risalgono a tale data le prime attestazioni documentarie riguardanti le due fiere che si tengono in Acquaviva già dall'inizio del secolo. La prima, dedicata a S.Eustachio, si svolgeva dal 15 al 22 maggio; l'altra, dedicata a S.Giovanni decollato, si teneva dal 25 agosto al 1° settembre.

1594 Dopo 65 anni di lavori la nuova chiesa di S.Eustachio (Cattedrale) è aperta al culto.
Alberto, allorché Taranto è assalita da un'armata di galee turche, accorre con le sue truppe e riesce a mettere in fuga gli invasori. In tale occasione si distingue il cittadino acquavivese Colantonio Felci, nominato tenente delle milizie del principe di Caserta.

1597 Alberto morendo lascia il marchesato di Acquaviva al suo primogenito Giosia Acquaviva d'Aragona.

fine XVI sec. Costruzione della chiesa dell'Addolorata, eretta per volere del nobile Coriolano Busto.

inizio XVII sec. Alla Riforma protestante del secolo XVI la Chiesa Cattolica risponde con la Controriforma che non si esaurisce soltanto nell'affermazione dell'autoritarismo dogmatico e nelle alleanze strette con i monarchi cattolici (Spagna ed Austria in particolare) ma si estrinseca anche nelle opere di carità, nell'evangelizzazione delle campagne e soprattutto nell'azione capillare delle Confraternite.
Tali organizzazioni laiche nascono numerose anche ad Acquaviva. Il conseguente bisogno di spazi più ampi per la predicazione e per il coro porta alla edificazione di monasteri siti entro le mura della città: il convento delle Benedettine (S.Benedetto, 1600), delle Clarisse (S.Chiara, 1607), degli Scolopii (S.Agostino, 1620), delle Cappuccinelle (S.Ciro, 1628) e anche il numero delle famiglie cresce notevolmente: 1342 nel 1609.
Per eseguire i pagamenti fiscali l'Università di Acquaviva è costretta a prendere grosse somme in prestito. La città è, inoltre, al centro di forti questioni territoriali contro Altamura, Bitonto, Canneto, Cassano e Santeramo.

1605 Papa Paolo V, con una Bolla, riconosce l'indipendenza della Chiesa di Acquaviva dopo le ennesime pretese degli Arcivescovi di Bari.

1611 Giosia Acquaviva, sommerso dai debiti è costretto a cedere le terre di Acquaviva e Gioia a Paride Pinelli, marchese di Civita S. Angelo, originario di Genova. Il feudo di Acquaviva, in attesa di valutazione, viene affittato dal Sacro Consiglio ad Ascanio de Scribanis.

1612 Dopo la valutazione effettuata dai tavolari Virgilio De Marino e Federico Pinto, il Regio Consiglio fissa il valore del feudo in 183.231 ducati e dichiara l'estinzione dei titoli di conte e di marchese che i precedenti feudatari avevano tenuto.

1614 Viene emanato a Madrid il Regio Assenso alla suddetta vendita.

1617 Iniziano i lavori di ampliamento o, comunque, di rifacimento del convento dei Domenicani in seguito all'accresciuto numero di frati.

1618-1648 In Europa di combatte la Guerra dei Trent'anni. Essa provoca ovunque un periodo di riflusso demografico, di crisi produttiva, di deflazione monetaria. La cronica crisi finanziaria in cui versa la corona spagnola è il risultato dell'enorme squilibrio tra le sue ambizioni di grandezza e la debolezza delle sue strutture economico-sociali. Nel Meridione i vicerè spagnoli per far fronte alle continue richieste di denaro da Madrid, vendono o affittano le terre demaniali ai baroni e appaltano la riscossione delle imposte ai banchieri privati col risultato di accrescere in modo intollerabile l'imposizione fiscale e di rafforzare i privilegi nobiliari (i baroni del Regno passano da 133 a 434).

1621 L'Università di Acquaviva ricorre al viceré contro il sindaco Giovannatonio Forziati e l'eletto Giandomenico Amenduno accusati di aver commesso, durante l'anno della loro amministrazione, gravi irregolarità ai danni dell'erario municipale.

1622 L'Università non potendo pagare gli ingenti debiti chiede al governo una tregua fiscale.

1623 Paride Pinelli muore senza eredi provocando fra i successori un'acerrima conte
br> Vengono consacrate dall'arcivescovo di Bari, Ascanio Gesualdo, la chiesa di S. Eustachio e la sua splendida cripta.

1626 Dopo una controversia durata tre anni il Collegio Collaterale decide che Acquaviva sarebbe andata in possesso di Benedetta Pinelli, sorella di Paride e principessa di Gerace. Ma l'intero patrimonio Pinelli viene sequestrato a causa degli enormi debiti di Paride. Eseguita la valutazione viene bandita un'asta ma per mancanza di acquirenti le terre rimangono in potere della Regia Camera che provvede ad affittarle.

1627 Acquaviva ha un debito pubblico di 33.359 ducati. Ciò provoca l'accentuarsi del contrasto tra la casta di privilegiati, circa 300 ecclesiastici, nuotanti nell'agiatezza e godenti di infinite immunità e prerogative, ed il resto della popolazione che vive nella miseria. La città subisce un notevole calo demografico: 999 famiglie per circa 5.000 abitanti.

1629 Acquaviva è tenuta in fitto dal conte di Conversano Giovan Girolamo Acquaviva.

1630 Il Regio Consiglio ordina di procedere alla vendita delle terre del Pinelli che, però, rimangono senza acquirenti per parecchi anni.
Nel frattempo gli acquavivesi riunitisi in assemblea pubblica deliberano di avvalersi del "ius praelationis" e rivendicarsi al Demanio Regio, riscattando il feudo con le proprie sostanze. Una commissione, composta dai signori Molignani, Amenduno, Iacobellis e Vitale, viene inviata a Madrid per trattare le condizioni dell'acquisto direttamente con il re Filippo IV il quale riduce il prezzo iniziale a 50.000 ducati. Nonostante la riduzione ottenuta e malgrado il desiderio di tutti, l'Università non riesce ad osservare gli obblighi assunti.

1634 La pressione fiscale ha un attimo di tregua quando il viceré, conte di Monterrey, ordina al capitano di Acquaviva di non molestare l'Università per gli arretrati dei debiti fiscali.

1640 Acquaviva è tenuta in fitto dal genovese Antoniotto Spinola.

1647 La politica spagnola di inasprimento delle tasse trova il suo culmine con il ripristino della gabella sulla frutta. A Napoli cavalcando la protesta popolare un pescivendolo, Tommaso Aniello,detto Masaniello, s'improvvisa capopopolo e rivendica la piena parità coi nobili nel governo della città, un'equa ripartizione dei debiti nonché l'abolizione delle esose gabelle. Bernardino de Quinonez, capitano e governatore della Terra di Bari, ordina alla milizia civica di Acquaviva di assalire Cassano, ribellatasi ai propri feudatari, sull'onda della rivolta napoletana. Quando si diffonde la voce dell'esistenza di bande di briganti nelle vicinanze le intere popolazioni di Santeramo, Gioia, Canneto, Sannicandro, Montrone e di altre città e villaggi sprovvisti di mura cercano rifugio in Acquaviva. La notizia è falsa ed è stata messa in circolazione dai feudatari pugliesi che temono l'estendersi dell'insurrezione guidata dal capopopolo locale, il barese Ippolito Pastena.

1648 A Napoli, morto Masaniello, i popolani hanno un nuovo leader, Gennaro Annese, e annunciano l'instaurazione della Repubblica chiedendo la protezione di Enrico II di Lorena, duca di Guisa, discendente di casa angioina, a cui viene conferito il titolo di Doge.
Questi ordina a Francesco Salazar, conte del Vaglio, di occupare la Basilicata e le terre di Bari ed Otranto. La vicinanza del Salazar infonde coraggio al popolo di Acquaviva che insorge contro i ricchi della città dichiaratisi favorevoli al conte di Conversano, Giovan Girolamo Acquaviva, fiero oppositore della rivoluzione. La città si barrica impedendo l'entrata a Giovan Girolamo, ma dopo pochi giorni cede e diviene in poco tempo il quartier generale delle armate regie del governatore delle province di Bari e di Lecce, Francesco Boccapianola, e di quelle del conte di Conversano alle quali si aggiungono altre soldatesche provenienti da Nardò, Palo, Noci, Mola e quelle del duca di Martina, Francesco Caracciolo. Radunatisi in Acquaviva Bernardino de Quinonez, il Boccapianola e quasi tutti i feudatari della provincia di Bari e della terra d'Otranto, viene tentato un assalto generale verso Altamura dove si rifugiano le truppe rivoluzionarie del Salazar e del dottor Matteo Cristiano. Ben due tentativi di espugnare Altamura falliscono così Giovanni Girolamo rinuncia all'impresa.
Ma la partita più importante si gioca a Napoli dove la rivalità tra Enrico II e l'Annese nuoce alla rivoluzione: gli spagnoli convincono Gennaro a tradire il Doge che viene fatto prigioniero, occupano la città promettendo al popolo l'amnistia e l'abolizione delle gabelle. In realtà torna la restaurazione. Solo a questa notizia Matteo Cristiano si arrende e leva in Altamura il vessillo del Regno ponendo termine alle rivolte popolari.
La paura dei briganti porta le popolazioni dei paesi vicini a trasferirsi ad Acquaviva, dotata di mura, la cui popolazione sale vistosamente e raggiunge i 1527 fuochi (o famiglie). Per tutta la seconda metà del secolo il numero delle famiglie si mantiene costante.

1656 La città scampa, miracolosamente, ad una memorabile pestilenza e fa voto alla Madonna di Costantinopoli di offrire, come annuo contributo, 30 ducati d'argento..

1658-1664 Acquaviva è tenuta in fitto prima dal marchese Caracciolo di Santeramo poi dal principe di Cassano, Gaspare Ayerba d'Aragona.

1664 Falliti tutti i tentativi dell'Università di riscattare la città con le proprie sostanze e riapertosi l'incanto sulle terre di Acquaviva e di Gioia, la vendita rimane aggiudicata, per la somma complessiva di 216.000 ducati, a favore di Carlo de Mari, marchese di Assigliano, ricco banchiere genovese e maggiore creditore del Pinelli . Egli entra in città acclamato dal popolo ma presto si rivelerà un pessimo feudatario. D'estrazione borghese egli vede il feudo come una fonte di guadagno da sfruttare il più possibile attraverso tasse e tributi nuovi.

1665 Carlo I de Mari, che ha acquistato il feudo con l'estinzione di ogni titolo, viene proclamato principe di Acquaviva, mediante privilegio accordatogli dalla regina Maria Anna d'Austria che governa il Regno per il figlio Carlo II di soli quattro anni. Montatosi la testa Carlo accampa assurde pretese come quella di sedere durante le funzioni religiose in un padiglione con superbi ornamenti come si addice ad un vero e proprio sovrano. Questo provoca l'indignazione della Chiesa Metropolitana di Bari che ordina la rimozione del padiglione. Al rifiuto di Carlo seguono disordini e conflitti e lo stesso arciprete, Antonio Bernal, accusato di essere troppo accondiscendente verso il principe, viene scomunicato da papa Alessandro VII e poi imprigionato nelle carceri vaticane per tre mesi. Infine, dopo una serie di processi, a Roma, nella Sacra Congregazione dei Riti ed a Napoli, nel Consiglio Collaterale, il de Mari deve recedere.

1667 Per iniziativa dei nobili Francesco Molignani, Giovanni Vincenzo Amenduno e Stefano Abrusci, il popolo di Acquaviva ricorre al Regio Demanio contro Carlo, chiedendo la restituzione delle terre demaniali che il principe ha fatto recintare e che affitta agli abitanti dei paesi limitrofi. Carlo , forte della corruzione e della violenza fa sì che tali reclami non abbiano alcun risultato.
Intanto avvia una radicale ristrutturazione ed un notevole ampliamento del castello normanno trasformandolo in un palazzo principesco. I lavori si protraggono per parecchi anni; lo provano le incongruenze e le differenze architettonicche attribuibili proprio al sovrapporsi, nel corso del tempo, di diverse volontà

1670 Su disegno dell'ingegnere genovese Stelladoro, Carlo I de Mari inizia la costruzione della villa denominata "Giardino del Duca" a cui si accede da un grandioso arco trionfale.

1691 Acquaviva rimane immune da un'epidemia di peste che stermina i paesi vicini. Il voto alla Madonna di Costantinopoli fatto nel 1656 viene rinnovato e viene fatta dipingere sulla porta principale della città l'immagine della Madonna con le chiavi in mano, simbolo di protezione.

1697 Muore Carlo I, il principe odiato dal popolo perché, prepotente, avido e bieco. Egli aveva commesso innumerevoli sopprusi ed istituito nuove e pesanti tasse, tra le quali il "credenzerato", ossia la tassa sui maritaggi, aggravando enormemente le condizioni economiche della città.
Gli succede il nipote Carlo II de Mari nato dal defunto primogenito, sotto la tutela della nonna Geronima Doria.

1700-1714 Muore il re di Spagna Carlo II senza lasciare eredi diretti. Le maggiori potenze, Francia, Inghilterra, impero Asburgico e Olanda concordano tra loro la spartizione degli immensi domini della corona spagnola. Ma il testamento di Carlo designa come successore Filippo di Borbone d'Angiò nipote del re di Francia Luigi XIV. Questi intravede un'ottima occasione per porre la Spagna e i suoi domini sotto la tutela francese. Si apre una crisi dinastica che mette in subbuglio tutta l'Europa. La posta in gioco è molto alta e Inghilterra, Olanda e Austria, che sostengono la candidatura dell'arciduca Carlo d'Asburgo, secondogenito dell'imperatore Leopoldo I, si ribellano provocando quella che viene ricordata come la Guerra di Successione Spagnola e che ha termine solo coi trattati di Utrecht e di Rastadt. Con essi il nuovo re di Spagna Filippo V rinuncia ad ogni eventuale diritto di successione alla corona di Francia e tutti i domini spagnoli in Europa, tra cui il Regno di Napoli, passano a Carlo d'Asburgo (eletto nel frattempo imperatore col nome di Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero) come compenso della rinuncia alla successione dinastica in Spagna. Le grandi vincitrici della guerra sono dunque l'Austria e l'Inghilterra mentre l'Italia cambia padrone e si appresta ad essere una colonia austriaca.

1713 L'avvocato Francesco Miulli, morto senza eredi, lascia l'intero patrimonio all' "ospedale dei Pellegrini", ubicato presso l'antica Porta Nuova.

1716 Una terribile e persistente carestia distrugge la quasi totalità dei raccolti agricoli.

1724 Le campagne acquavivesi subiscono ancora lunghi periodi di siccità.

1731 Durante la Settimana Santa violente scosse di terremoto costringono la cittadinanza ad abbandonare la città ed a vagare, terrorizzata, dei dintorni.

1733-1735 Francia e Spagna si accordano per scacciare dall'Italia gli Asburgo austriaci e per insediarvi i Borbone. L'occasione viene con la problematica successione al Regno di Polonia nella quale Francia e Austria appoggiano due diversi candidati. Una volta scoppiato, il conflitto si estende subito anche all'Italia. Qui i domini austriaci sono il vero oggetto del contendere e truppe francesi, spagnole e piemontesi occupano il Regno di Napoli ed il Milanese. La guerra termina quando la Francia s'impegna a riconoscere quale legittima erede al trono austriaco la figlia dell'imperatore Carlo VI, Maria Teresa e in cambio l'Austria rinuncia a Napoli e Sicilia che vanno, invece, a Carlo III di Borbone figlio di Filippo V, re di Spagna. Rinasce così il Regno delle Due Sicilie.

1740 Morto Carlo II, Giambattista de Mari, suo figlio, diventa principe di Acquaviva.

1750 circa Viene iniziata la costruzione di una torre nella piazza centrale su cui si affacciano la Cattedrale e il Palazzo De Mari. Qui si tengono le adunanze cittadine e la torre, probabilmente, costituisce la sede del Sedile in rappresentanza della Municipalità.

1755 L'assoluta mancanza di piogge rende deserte le campagne e sparge miseria e morte nel popolo.

1759 Muore Ferdinando di Spagna e gli succede suo fratello Carlo III, re di Napoli, che lascia il reame al suo terzogenito Ferdinando, il futuro "re lazzarone", di otto anni. Sotto la reggenza del ministro Tanucci prosegue la politica di riforme promosse da Carlo tra cui si segnalano alcune di stampo laicistico ed antifeudale tra cui l'abolizione dell'Inquisizione, l'invalidità giuridica delle scomuniche papali se non riconosciute dal re, la non obbligatorietà delle decime, il riconoscimento del diritto di appellarsi ai tribunali regi contro le sentenze emesse dai tribunali baronali. Fallisce tuttavia il tentativo di riformare il sistema fiscale con l'introduzione del catasto osteggiato dai baroni che mantengono intatto il dominio feudale sulle masse perennemente indifferenti e inerti. Il ceto che più avverte la necessità di affermare l'autorità regia contro i privilegi dei feudatari e del clero è quello degli intellettuali.

1772 Scoppia una acerrima contesa tra il Comune ed i de Mari per questioni fiscali: dovendosi procedere alla scelta dei deputati per la compilazione del nuovo onciario, gli acquavivesi, esasperati dalle troppe e gravose tasse, decidono di opporsi alla volontà del feudatario e far sì che non vengano eletti, com'era sempre avvenuto in passato, persone di sua fiducia, bensì due dei più saldi avversari del de Mari, Francesco Supriani e Domenico De Sanctis. Ma Carlo III de Mari, reggente dei feudi paterni, dopo aver fatto invalidare l'elezione dalla Regia Camera, si vendica dei suoi avversari, molti dei quali vengono uccisi o rinchiusi nelle carceri cittadine. Anche il vicario Domenico Giorgio è vittima di persecuzioni tanto che Carlo III fa nominare un altro vicario nella persona del canonico Lofisco. Una sorta di scisma si verifica in città tra i seguaci del feudatario e dell'antivicario, che officia nella chiesa di S. Eustachio, e quelli del vicario Giorgio, ospite della chiesa delle monache benedettine. Neanche l'ospedale Miulli è risparmiato dallo scempio degli sbirri del principe che lo spogliano dei viveri e dei libri che erano conservati.

1775 Dopo aver amministrato, col titolo di reggente, i feudi paterni, Carlo III de Mari, marchese d'Assigliano, diventa principe di Acquaviva. La sua dispotica prepotenza fa nascere malcontenti nel popolo e spinge i maggiori cittadini ad aumentare i focolai di cospirazioni che si evolvono a favore del proletariato.

1776 Re Ferdinando IV, venuto a conoscenza delle prepotenze subite dal popolo acquavivese, in conformità del giudizio emesso dalla Real Camera, ordina a Carlo III di stabilirsi a Napoli intimandolo a ravvedimenti concreti con l'avvertenza di "moderare la sua condotta e regolare inappresso i trasporti di sua giovinezza".

1779 Alla morte del padre, Carlo ottiene la grazia di tornare ad Acquaviva e non tarda a vendicarsi dei suoi nemici, meritandosi l'appellativo di "usurpatore della libertà e sfruttatore dei sudori del popolo lavoratore". Nottetempo, fa sistemare i cosiddetti "mascheroni", facce di uomo con la testa cinta di corona e con una sproporzionata lingua fuori dalla bocca, a simboleggiare lo scherno ed il disprezzo verso il clero ed il popolo acquavivese, radunatosi sotto le mura del Palazzo.

1789-1792 La Curia del Cappellano Maggiore di Napoli determina che l'Arciprete della Chiesa di Acquaviva deve esercitare in questa le veci di Ordinario, con tutti i diritti riconosciuti già ai Prelati "nullius" regi e palatini. La Chiesa di Acquaviva visti gli antichissimi privilegi sanciti sin dall'antica Salentino e poi dal Gurguglione, viene confermata "Palatina" e ottiene così di essere sottratta dalla dipendenza degli Arcivescovi di Bari.

1792 Ferdinando si dimostra sovrano illuminato e la dottrina innovatrice e progressiva sembra reggere le sorti del regno. Ad interrompere questa intesa tra le correnti più vive ed il re, e a rigettare il sovrano nelle braccia della nobiltà e del clero, interviene la Rivoluzione Francese giunta ad una svolta con l'abolizione della monarchia e la proclamazione della repubblica. La regina Maria Carolina presa dal terrore della Rivoluzione insiste perché vengano adottati provvedimenti repressivi che alienano loro le simpatie del ceto colto che sempre più si sente attratto dai principi di libertà proclamati in Francia.
Ad Acquaviva fiorisce un cenacolo di uomini illustri: Francesco Supriani, Francesco Antonio Pepe, Giambattista Molignani, Vito Paolo Rubini, Giulio Iacobellis, Giangiacomo Pepe, Giovanni Scassi, Filippo Aulenta, i fratelli Tommaso, Giovanni e Nicola Serini, Caterina Forte, Gaspare Curzio, l'arciprete Valerio Giustiniani Persio e parecchi altri covano il pensiero liberale.

1798 A Roma i patrioti locali, sostenuti dall'esercito francese, rovesciano il potere temporale del papa e proclamano la Repubblica Romana. Ferdinando decide di intervenire a sostegno del papato con l'intento di restaurarne il dominio e truppe napoletane comandate dal generale austriaco Mack occupano la città.

1799 Le truppe francesi del generale Championnet riconquistano Roma e, dichiarata guerra a Ferdinando IV, invadono il Regno di Napoli. invade a sua volta il Regno di Napoli dove viene proclamata la "Repubblica Napoletana una e indivisibile". Presi dal panico Ferdinando e Maria Carolina fuggono in Sicilia sotto la protezione della flotta inglese.
La cittadinanza di Acquaviva è indecisa sul da farsi: "non si aveva animo di rigettare il vecchio, ma non potea non abbracciarsi il nuovo". La notizia che Francesco Antonio Pepe è nominato membro del Governo provvisorio della Repubblica e alcuni suoi appassionati discorsi alla cittadinanza infiammano la città che accoglie con giubilo i nuovi ordinamenti repubblicani. Nella pubblica piazza è piantato un albero simbolo della agognata Liberta. Mentre ad Acquaviva l'arciprete Persio si schiera coi repubblicani, il clero dei paesi vicini favorisce l'azione controrivoluzionaria dei ceti popolari che, colpiti da una recessione della produzione agricola, vengono mobilitati in nome della Santa Fede (donde la denominazione di Sanfedisti) contro le esili forze della borghesia giacobina. E' proprio una folla monarchica che, nei pressi di Ceglie, uccide F.A. Pepe, suo fratello Giacomo, Giovanni Scassi, Filippo Aulenta e la loro scorta mentre vi transitavano alla volta di Napoli. Appresa la notizia del massacro Francesco Supriani convince la popolazione a resistere in nome della democrazia all'assedio a cui è sottoposta dai controrivoluzionari sanfedisti, guidati dal bandito Giambattista De Cesare a cui si aggiungono le popolazioni dei paesi vicini in cerca di bottino. Dopo una giornata di feroce battaglia, il De Cesare, dopo aver rischiato egli stesso la vita, persa la speranza di impadronirsi della città e temendo di essere colto all'improvviso dalle truppe francesi che si diceva fossero già partite da Barletta in soccorso di Acquaviva, si accinge a togliere l'assedio quando avviene l'imprevedibile. Giuseppe Bresnaider, capo delle milizie civiche, fugge con 40 dei suoi verso Altamura e abbandona la città senza difensori. Il popolo scoraggiato apre le porte al nemico nella vana speranza di evitare il saccheggio. Così non è: al tramonto, la città è presa e devastata. Persino i monasteri e l'ospedale vengono depredati, l'albero della Libertà viene spiantato e bruciato, e con esso il cadavere di Francesco Supriani, morto da vero repubblicano. Dallo sterminio generale si salva solo le case di alcuni monarchici contrassegnate da una croce bianca ed il convento delle Benedettine dove è rinchiusa una sorella di Francesco Soria, sacerdote gioiese schieratosi con i sanfedisti. I francesi giungono ad Acquaviva una settimana dopo e non possono fare altro che obbligare i paesi vicini a fornire al popolo acquavivese viveri e denaro.
Nel frattempo Carlo de Mari, che allo scoppiare dei tumulti si trovava a Napoli, rientra ad Acquaviva con l'intento di ostacolare il movimento democratico, ma è costretto a fuggire prima a Gioia, poi a Castellaneta e a Cerignola dove viene arrestato dai repubblicani, ma pagando 600 ducati riesce a fuggire verso Napoli. Qui, appena giunto, viene nuovamente arrestato per ordine del Governo provvisorio. Grazie alle sue potenti amicizie riesce, comunque, a rimandare il giudizio e la sicura fucilazione fino a quando Napoli repubblicana non è costretta a capitolare all'Armata Cattolica e Reale del cardinale Ruffo.
Infatti, già da tempo, i francesi hanno abbandonato la Repubblica al proprio destino ma i patrioti rimasti soli oppongono una resistenza disperata che termina solo quando accettano una resa che garantisce loro la vita e la libertà. Tuttavia i patti vengono violati dal re che da questo momento si allontana dalla borghesia e si appoggia quasi esclusivamente sui ceti popolari, mantenendo la società meridionale in una statica immobilità.
In conseguenza di questi avvenimenti il principe di Acquaviva riottiene la libertà e la restituzione dei suoi beni. La notizia del saccheggio subìto dalla citta giunge alla corte del re Ferdinando IV che con una lunga lettera, indirizzata al sindaco Domenico Casucci, esprime le sue doglianze e stanzia la somma di 43 ducati, grana 50 e cavalli 4 per sopperire alle prime spese per le urgenti necessità che l'invasione aveva procurato. Infatti la somma, amministrata dal primo e dal secondo eletto, Marino Mele e Leonardo Panetta, e dai cassieri, Giovan Battista Lepore, Sebastiano Luciani e Baldassarre Novelli, serve alle riparazioni delle porte e della muraglia che circonda il paese.


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