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Il caso dei de Mari ad Acquaviva delle Fonti.
di Chiara Dalfino Spinelli

I de Mari

L' origine del casato si fa risalire ad un Ademaro capitano di Pipino il Breve, che nel 795 avrebbe liberato Genova dai Longobardi e sarebbe stato nominato Conte; successivamente ben 11 de Mari avrebbero ricoperto il ruolo di consoli della repubblica. Ansaldo de Mari, console, sarebbe stato ambasciatore presso Federico II, quindi ammiraglio della flotta Imperiale; lo stesso ruolo di ambasciatori avrebbero ricoperto i suoi discendenti, presso Carlo e Roberto d'Angiò.

Prima che finanzieri, dunque, i de Mari sono "uomini d'arme e di mare". E' chiaro il riferimento al mare nel loro stemma, a "bande ondate di nero su fondo d'oro", il cui numero varia nei casati di Genova o di Milano, di Corsica o di Napoli; o di Messina, dove "una sirena coronata d'argento esce dal mare d'argento fluttuoso di nero"; o ancora di Altamura o Acquaviva delle Fonti .
A Napoli i de Mari risiedono stabilmente già nella prima metà del '500, come altri influenti esponenti della propria "natione": negli anni '20 del secolo è documentata l'attività nel settore finanziario di Giambattista e Raffaele de Mari, in società con altri genovesi come i Sauli, i Lomellini, gli Spinola.
L' Archivio Storico del Banco di Napoli registra, tra i propri "banchieri genovesi in Napoli residenti", i nomi di Stefano, Andrea, Niccolò ed Agostino de ; tra 1540 e 1570 il loro Banco presta alla Corte napoletana quasi 1 milione di ducati; tra 1550 e 1575 Stefano e Niccolò, figli di Giambattista, procurano galee alla flotta vicereale: Niccolò è "provveditore di galere" del Regno; Stefano ne acquista due "con 50 schiavi per ciascuna". Nel 1594, cittadine pugliesi come Terlizzi e Cerignola sono indebitate col Banco de Mari rispettivamente per 18.000 e 95.000 ducati.
Il commercio di generi fondamentali come il grano, l'orzo, l'olio, era gestito dai de Mari, così come da altri liguri stabilmente presenti nella capitale del viceregno.
La cittadinanza napoletana, oltre a privilegi come licenze o immunità giudiziare, furono conferiti da Carlo V agli esponenti dell'aristocrazia finanziaria, con finalità a un tempo di consenso e di controllo su questo ceto, che doveva far da "contrappeso" alle pressioni della nobiltà locale, spesso antagonista del sovrano.
A Napoli era nato e vissuto Gianvincenzo de Mari, procuratore della Regia Camera della Sommària: si trattava di una carica perpetua, di nomina regia; nel 1576 gli era conferita la dignità di "cavaliere dallo sperone d'oro"; nella chiesa di San Giovanni Maggiore, Gianvincenzo acquistava lo jus patronato sulla cappella della SS.ma Trinità. Nel 1578 suo figlio Gian Battista passava da Napoli a Lecce, come avvocato fiscale della Sacra Regia Audientia, tribunale provinciale del regno, la cui giurisdizione si estendeva anche alla Terra d'Otranto e di Bari.
Gian Battista chiederà di essere sepolto a Lecce, in San Francesco, in abito da cappuccino, insieme con la moglie Marzia Guarino.

Gian Girolamo de Mari, fratello di Gian Battista, già cappellano di corte di Filippo II, nel 1588 entrava in Altamura come Arciprete Mitrato della Cattedrale. Qui lo avrebbe raggiunto il fratello Floriano, successivamennte titolare dello jus patronato sulla cappella di San Francesco di Paola nella chiesa conventuale di Sant' Antonio: ai piedi dell'altare della cappella, si trova la tomba del fondatore e dei suoi discendenti.
I legami della famiglia col ramo di Altamura non saranno mai interrotti: ancora nel 1685 Francesco de Mari, cavaliere di Malta, figlio di Carlo I, battezzava Gian Giacomo de Mari, di Altamura.
Nelle immediate vicinanze della città, nel 1603, i de Mari edificarono la masseria Malerba, ed entrarono in possesso della masseria Jesce, lungo l'antica via Appia, in direzione di Gravina. In città abitarono il secentesco palazzo Notarpietro, in via Candiota.
Nel corso del XVII sec. la famiglia consolidava in Napoli la propria posizione di prestigio, esprimendo il proprio potere anche attraverso istituzioni benemerite, come la fondazione, ad opera di donna Geronima de Mari, del "Conservatorio per fanciulle vergini, con piccola cappella", presso il palazzo della Vicaria nella strada "de' Ferrari".
Apprendiamo dal Filangieri che, il 25 gennaio1568, il "maestro di muro" angelo De Cesare di Cava "...si obbliga, insieme a Matteo Quintavalle (del pari di Cava e maestro di muro) di edificare un palazzo a Marcantonio de Mari, nella strada di San Martino".
Il 23 aprile 1641 a Giambattista de Mari veniva conferito il titolo di Marchese d'Assigliano; quest'ultimo, nel 1649, su ispirazione dello "speziale" Sabato Anella, il quale aveva accolto nella propria casa i fanciulli rimasti orfani dopo la rivolta di Masaniello, donava loro la "...casa grande, sita nella strada di Nilo...".
Sul suolo di questa casa, demolita perché pericolante, sarà costruita la chiesa di San Nicola a Nilo, ampiamente rimaneggiata ai primi del '700, ed un adiacente "monistero", che nel 1653 ospitava 230 fanciulli. Per tale opera benefica si erano autotassati lo stesso Conte d'Ognate, allora vicerè, e l'Arcivescovo di Napoli, Cardinal Filomarino.

A fine '600, "...per ragioni di credito...", i de Mari entravano in possesso del palazzo già appartenuto a Francesco Carafa, principe di Belvedere, sito "..in via San Girolamo, alla metà del vico Mezzocannone,...con vastissimo cortile e giardino pensile..." all'altezza di una delle scale d'accesso, restaurato con una spesa di più di 40.000 ducati.
Nel 1889 il palazzo risulterà appartenere a Francesco de Mari, duca di Castellaneta.
Ancora in Napoli, residenza estiva dei de Mari già a fine '600 era una villa sul Vomero, nel quartiere dell'Arenella: al limite fra questo quartiere e quello dell'Avvocata, c'è ancora oggi via "Poggio dei Mari". La zona, all'epoca estesamente alberata, era prediletta dai nobili napoletani per la sua frescura.
Dalla terrazza della villa, divisa oggi in più appartamenti, si gode la vista del golfo e del porto della città. Nell'androne è ancora affisso lo stemma della famiglia, bandato di oro e di nero e sormontato da una corona a tre punte: è quindi successivo al 1665, anno in cui Marianna d'Austria conferiva a Carlo I de Mari il titolo di Principe.
Al 7 agosto 1690 è datata l'ascrizione dei de Mari al Seggio napoletano di Porto: si era compiuto definitivamente il passaggio dal ceto finanziario a quello nobiliare.
Appena quattro anni prima Carlo I era stato nominato dal padre Giambattista.
"erede di tutti i beni mobili e stabili, burgensatici, feudali..., di qualsivoglia titolo, censo, annue entrate, dinari, gioie, argento lavorato e non lavorato, suppellettili, animali, nomi di debitori ".
Dal testamento di Giambattista risultano lasciti per la figlia primogenita Maria, moglie del marchese genovese Agàpito Grillo, anch'egli legato al mondo della finanza; ed oneri per Carlo, il quale doveva versare annualmente parte delle proprie rendite agli altri fratelli, tutti religiosi: Andrea, entrato nel 1649 nella Compagnia di Gesù; Ottavio, chierico della Camera Apostolica; Francesca, Felice Maria, Giovanna Battista e Maria Geronima, novizie o già monache in Napoli: spettavano loro doti assai meno cospicue di quelle registrate nei capitoli matrimoniali dell'epoca.
Alla chiesa di San Giorgio dei Genovesi, in Napoli, Giambattista lasciava ben 20.000 ducati; altri 10.000 a chiese di Genova per la celebrazione di messe in suffragio della propria anima; e 200 lire ciascuna a venti fanciulle povere di Genova "...acciò se ne marìtino".

Dunque, benchè da tempo radicata nel Viceregno, la famiglia conservava tenacemente i legami con Genova; il suo patrimonio era rimasto consistente, benchè nel 1598 Bulifòn registrasse il fallimento del banco dei de Mari in Napoli.
I finanzieri infatti, come si è già accennato, avevano intensificato la propria attività nei settori del commercio o del controllo delle gabelle imposte dal sovrano.
Nel 1664 il debito contratto con loro dall' università di Acquaviva era di ben 35.000 ducati. Il 5 aprile dello stesso anno i feudi di Acquaviva e di Gioia passavano a Carlo de Mari, tra i maggiori creditori di Paride Pinelli, anch'egli finanziere genovese e antico amministratore della città. Al suo arrivo in Puglia, nel 1664, Carlo I era stato ricevuto da Domenico Giudice, genovese, duca di Giovinazzo.
Il 9 aprile 1665 si era aggiudicato anche il territorio di Castellaneta: "In anno 1665 se vista il Regio Assenso alla vendita libera fatta per Gio: Simone della Monica...et per li deputati delli creditori del quondam Gio: Cristofaro de Franchi, della Città di Castellaneta, della terra d'Otranto, all'Illustrussimo Carlo de Mari, Marchese d'Assigliano, stipulante per esso Francesco D'Oria suo procuratore". "Premorto a Carlo de Mari l'unico suo figlio Giambattista, successe nel feudo il figlio di questi".
Nel 1666 Carlo ritornava ad Acquaviva per stabilirvisi, con il figlio Giambattista e la moglie Geronima Doria. Lungo il percorso la nobildonna aveva voluto incontrarsi con Ottavia Spinola, genovese, sua parente e consorte del Governatore di Melfi.


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